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Il patto stracciato

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2014 13:25
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08/02/2014 13:25

Il patto stracciato
L’avvertimento di Letta ad Alfano: le sirene di Matteo portano al voto


Stracciato il patto di governo per il 2014, smarrito il foglio excel su cui andavano scritti programma e tempi di attuazione, riposti il jobs act, la riforma della Bossi-Fini, le unioni civili, al dunque Renzi sfodera la «staffetta». All’alba della Terza Repubblica torna di moda un arnese della Prima, che annuncia un cambio in corsa alla guida del governo. Segno che i riti della politica non cambiano mai. E c’è un solo modo perché il segretario del Pd succeda al vicesegretario del Pd a Palazzo Chigi: deve togliergli la fiducia. La mossa compete a lui e a nessun altro, «non apriremo noi la crisi», gli va ripetendo infatti Alfano in questi giorni segnati da incontri e telefonate, avances ed emoticon. È evidente l’accerchiamento a Letta, la manovra in atto per scalzarlo. Talmente rapida da aver sorpreso il capo del governo, che pure se l’aspettava e che però non voleva crederci quando - durante la direzione del partito - ha sentito il segretario rivolgersi a lui in modo algido, chiamandolo «presidente del Consiglio». D’altronde c’è qualcosa che il leader del Pd può promettere e che il premier non può invece garantire: stabilizzare la legislatura fino al suo naturale compimento, riformare la legge elettorale e le istituzioni. Durare, insomma, fino al 2018.


È il sogno di (quasi) tutti i partiti e di (quasi) tutti i parlamentari, ma che secondo Letta nasconde un inganno: «Non fidatevi di Renzi. Vi porterebbe presto al voto», continua a dire a ogni interlocutore, in specie ad Alfano, che si è stancato di questa patologica architettura della coalizione, dove i ruoli si sono rovesciati. Ncd, che doveva essere la forza corsara, si trova costretta a reggere il peso del governo, mentre il Pd si tiene le mani libere. «Questo derby mi ha stufato», ha spiegato il vicepremier, pronto in settimana a presentare le sue proposte di programma che giacciono in attesa del duello in casa altrui: «L’Italia non può più aspettare».
Invece aspetterà ancora due settimane. La prossima sarà impiegata per l’esame a Montecitorio della legge elettorale, in quella successiva andrà in scena lo show down in casa democratica. Ma è chiaro che - siccome tutto si tiene - il passaggio alla Camera per la riforma del sistema di voto sarà preludio dell’intesa di governo. Perciò non sono previsti scossoni, «l’Italicum non sarà terreno per ricatti o minacce», ha assicurato il vicepremier a Renzi, anche perché - a quanto pare - i due hanno concordato altri «miglioramenti» al testo. E comunque, se qualcosa andasse storto, ci sarebbe sempre il passaggio al Senato.


Il nodo resta però l’esecutivo, e nelle consultazioni informali il segretario democratico ha fatto capire all’«alleato» di Ncd di non credere alla capacità dell’attuale gabinetto di rilanciare l’azione programmatica, men che meno alla forza di dar vita a un Letta bis. A fronte di questo modo obliquo di avanzare la propria candidatura, Alfano ha messo l’interlocutore sull’avviso: «Non intendo prestarmi al gioco, e non puoi porre a me la domanda. Semmai sono io a essere creditore di una risposta. Posto che sto sostenendo un governo a guida Pd, tu che hai deciso di fare?».
La mossa tocca a Renzi, che una risposta l’ha già data, quando ha avvisato che «io non governerò mai con Forza Italia». Nel Nuovo centrodestra c’è però chi ritiene che l’avvertimento di Letta abbia un fondamento, non a caso Lupi continua ad attaccare il leader dei democratici, nel timore di vedere il suo partito eclissarsi nel cono d’ombra del Pd. Il punto è - come ha spiegato Alfano ieri in una riunione riservata - che «per quanto noi siamo leali con Enrico, e lo siamo, non siamo il partito del presidente del Consiglio. È il Pd che deve riconoscerlo come tale, ed Enrico deve porre la questione di fiducia al suo partito».


Quanto al tema se fidarsi o meno, non è categoria della politica. Sono gli interessi a muovere le convergenze e i patti. E gli interessi di Renzi e Alfano sembrano convergere. Nel breve termine sono agonisticamente concentrati sulle Europee, dove Ncd si giocherà la partita della vita e dove il segretario del Pd - per non perdere l’allure - dovrà dimostrare di non essere da meno del 26% preso cinque anni fa da Franceschini. Perciò l’idea di sfruttare la luna di miele con il Paese, appena arrivato al governo, lo attizza.
Sul lungo termine, invece, è una risposta che Renzi dovrà anzitutto a Napolitano. Ecco il vero scoglio di un’operazione complicata. Se è vero che l’attuale premier può garantire un orizzonte limitato al 2015, Renzi è in grado di assicurare riforme e stabilità fino al 2018 con la stessa formula politica del governo Letta? Dopo una prima fase assai ruvida, i rapporti tra il segretario del Pd e il capo dello Stato sono cambiati, il centralino del Colle squilla in continuazione fin dalla trattativa sulla legge elettorale, tanto da aver provocato in quelle settimane l’irritazione del Cavaliere: «Napolitano, Napolitano, sempre Napolitano...».
E Napolitano, che ancora tre giorni fa ha difeso Letta, avrà un ruolo decisivo. Certo, più i partiti prendono forza, più il Quirinale deve assecondare i processi politici. Ma la «staffetta» è gara tremenda. Nella corsa bisogna non far cadere il testimone.

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