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Cala il gradimento del governo Letta

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2014 13:01
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02/02/2014 13:01

Cala il gradimento del governo Letta
No a un esecutivo di scopo Pd-Forza Italia

Il 54% del campione auspica la permanenza di Letta a Palazzo Chigi, oltre agli elettori pd (69%) molto favorevoli centristi e Ncd (79%)


Solitamente la prima fase di vita dei governi è sostenuta da un elevato consenso, la cosiddetta luna di miele, seguita da una flessione. Il governo guidato da Enrico Letta non fa eccezione: nei primi mesi di vita veniva apprezzato da circa il 60% degli elettori mentre oggi esprime gradimento il 45%, con una netta prevalenza di voti positivi tra gli elettori del Pd (64%) e ancor più tra quelli centristi e del Nuovo centrodestra (72%), mentre tra quelli di Forza Italia, M5S e tra gli indecisi e gli astensionisti prevalgono i giudizi negativi.

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L’apprezzamento del governo risulta più elevato tra le persone con più di sessant’anni e in particolar modo tra i pensionati e possessori di titolo di studio basso. Particolarmente critici con l’esecutivo risultano invece i lavoratori autonomi e le casalinghe, i primi alle prese con una congiuntura economica molto difficile, le seconde con la quadratura dei bilanci familiari. Le ragioni della diminuzione del consenso nei confronti dell’esecutivo sono da attribuire prevalentemente a due motivi: il primo riguarda l’uscita dalla maggioranza di Forza Italia, che attualmente rappresenta il secondo partito nelle intenzioni di voto; il secondo riguarda l’annoso problema delle riforme: nella situazione di perdurante crisi economica aumentano le aspettative di interventi che favoriscano la crescita, l’occupazione, la riduzione della pressione fiscale e il miglioramento del potere d’acquisto. Le misure finora adottate dal governo, sebbene apprezzate da molti, sono giudicate insufficienti e si vorrebbero interventi più incisivi.

Ma il tema delle riforme è accompagnato da una grande contraddizione nell’opinione pubblica: la maggior parte le reclama a gran voce purché riguardino «gli altri»; le riforme, infatti, sono impopolari perché obbligano i cittadini a mettere in discussione le loro abitudini, i loro diritti acquisiti. Non è un caso che gli interventi sulle pensioni e sul mercato del lavoro promossi dal ministro Fornero nel 2012 abbiano determinato nel breve volgere di qualche mese un brusco calo di consenso (circa 20%) nei confronti del governo Monti che risultava sostenuto, al suo esordio, dall’apprezzamento del 64% degli elettori.

Riguardo agli scenari politici futuri le opinioni si dividono: 54% auspica la permanenza del governo Letta (16% il più a lungo possibile, 38% almeno fino all’approvazione delle principali riforme istituzionali) mentre il 42% vorrebbe andare al più presto al voto (32% non appena approvata la nuova legge elettorale e 10% immediatamente, con quel che resta del Porcellum). Particolarmente favorevoli ad una prosecuzione del governo Letta, oltre agli elettori Pd (69%) e agli elettori centristi e del Nuovo centrodestra (79%), anche i pensionati (68%) e commercianti e artigiani (69%). Questi ultimi pragmaticamente auspicano che il governo faccia tutte le riforme necessarie prima di andare al voto (65%). Al contrario propendono per un rapido ritorno al voto gli operai (55%), i disoccupati (49%) e le persone intenzionate a votare il M5S (70%).

Riguardo alla possibilità di un governo di scopo guidato da Matteo Renzi e sostenuto da Pd e Forza Italia prevalgono gli oppositori (il 39% paventa contrasti continui tra i due partiti) e gli scettici (il 33% ritiene che non cambierebbe molto rispetto ad oggi), mentre i sostenitori di questa ipotesi (24%) rappresentano una minoranza tra tutti gli elettorati con l’eccezione di quelli di Forza Italia che intravedono in tal modo la possibilità di andare al governo, far valere il proprio peso ed approvare più speditamente le riforme istituzionali.
L’analisi del rapporto tra opinione pubblica e governo negli ultimi anni evidenzia un’elevata ciclicità: all’entusiasmo per il governo degli ottimati presieduto da Monti ha fatto seguito il desiderio di mettere da parte il governo dei tecnici per tornare ad un governo «politico»; a seguire, le «larghe intese» sono state considerate una scelta necessitata dal risultato elettorale (che imponeva un’alleanza per poter costituire una maggioranza di governo) e sono state inizialmente vissute con atteggiamenti positivi, come un’occasione per voltare pagina, lasciarsi alle spalle la dura contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra degli ultimi vent’anni e mettere al centro l’interesse del Paese e la ricerca di punti di mediazione, di compromessi alti; oggi ciò che resta delle larghe intese mantiene comunque un consenso elevato, benché minoritario, ma prevale la percezione che si tratti di una convivenza obbligata, tenuto conto dell’attuale composizione delle Camere. All’orizzonte si intravvede una prospettiva di cambiamento, con nuovi protagonisti e nuove proposte: chi è fuori dalla mischia risulta sempre avvantaggiato, ma è opportuno considerare che l’aumento delle aspettative dei cittadini va di pari passo con la durata del consenso che ha tempi sempre più brevi. È il paradosso della politica moderna: rincorre il consenso evocando cambiamenti e riforme che, se adottate, determinano il rischio di vederlo evaporare.

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