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Mps, no all’aumento di capitale a gennaio

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2013 14:41
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28/12/2013 14:41

Mps, no all’aumento di capitale a gennaio
Profumo: «Dimissioni? Decido il mese prossimo»

Antonella Mansi, presidente della fondazione: «Il nostro non è atto sfiducia verso il management»


SIENA - La fondazione Mps sbarra la strada alla proposta del consiglio di amministrazione presieduto da Alessandro Profumo di far partire a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi necessario per cominciare a restituire i 4 miliardi di aiuti di Stato, i famosi Monti bond. All’assemblea apertasi in seconda convocazione e ancora in corso, Antonella Mansi, la presidente dell’ente senese che ha il 33,5% della banca e dunque gode di un diritto di veto, ha alzato le barricate: poco dopo le 14 è stata bocciata la proposta del consiglio di amministrazione con il 69,06% dei presenti, mentre è stata approvata la proposta alternativa dell’ente di Palazzo Sansedoni con l’82%.

Il maggior tempo serve alla Fondazione per cercare di vendere gran parte delle proprie azioni, ripagare 340 milioni di debiti e tentare di rimanere “azionista rappresentativo” dell’istituto: “La proposta del consiglio della banca non ha oggi alcuna possibilità di essere approvata e la fondazione ha il dovere ineluttabile di votare solo ed esclusivamente la propria proposta di aumento con esecuzione differita di alcuni mesi”, aveva detto in mattinata Mansi, nel suo intervento. Quello andato in scena nell’auditorium del Montepaschi è stato un vero muro contro muro tra il management della banca e il suo primo azionista. Tanto che tra le banche coinvolte nell’operazione e in città non viene escluso che Profumo possa considerare il voto come una sfiducia nei suoi confronti, decidendo di dimettersi. Analoga decisione potrebbe prendere anche l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, rendendo più incerta l’esecuzione del piano di ristrutturazione imposto dalla Commissione europea.

«Sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati», ha replicato Profumo. «Non ho dunque comunicazioni da fare, avremo un consiglio d’amministrazione a gennaio e lì valuteremo che cosa fare. Voglio precisare che non c’è nessun palio personalistico: tutt’al più c’è un palio con i contribuenti italiani, che con l’aumento di capitale riceverebbero 3 miliardi oltre a 300 milioni di interessi».

Mansi ha tenuto a sottolineare che “la banca Mps era ed è una banca sana e affidabile” e che “abbiamo davanti un futuro più roseo di quello a tinte fosche che molti dipingono per la banca”. E ha respinto il parere richiesto dal consiglio al professor Gaetano Marchetti secondo cui la Fondazione sarebbe in conflitto di interessi e portatrice di una proposta dannosa per l’istituto. «Qui dovremmo parlare non di conflitto di interessi ma di conflitto di doveri», ha sostenuto Mansi. «Proprio perché non siamo un azionista che del proprio denaro può fare quel che vuole ma dobbiamo perseguire scopi di utilità sociale, per noi la tutela dell’integrità del patrimonio non è un optional: non potete chiederci di fare crollare proprio noi l’edificio che ci è stato affidato dalla legge».

L’aumento a gennaio farebbe diluire enormemente la fondazione, di fatto polverizzandone il patrimonio. Anche le altre due argomentazioni del consiglio di amministrazione, ovvero i rischi di non riuscire a costituire nei prossimi mesi un consorzio di garanzia (quello attuale guidato da Ubs, Goldman Sachs, Citi e Mediobanca scade a fine gennaio) e i timori per una possibile nazionalizzazione, sono state respinte dalla Fondazione: «Apprezziamo la prudenza degli amministratori sui rischi di un posticipo» ha detto Mansi. Tuttavia «è molto difficile pensare che il terzo gruppo bancario non riesca a trovare nella seconda finestra, dal maggio 2014, un consorzio di garanzia».

Anche il rischio di nazionalizzazione esisterebbe fino a un certo punto, visto che da essa tutti gli azionisti subirebbero «danni irreparabili mentre la banca continuerebbe ad esistere». Nella replica Profumo ha ribadito i timori per la situazione di incertezza che si determinerebbe con lo slittamento: «Da qui a maggio non sappiamo che cosa succederà sul mercato, sappiamo solo che ci sono 120 milioni di interessi in più che graveranno su tutti gli azionisti. Noi abbiamo un obbligo di restituzione dei Monti bond» entro il 2014 altrimenti la banca andrà nazionalizzata. Inoltre, «Ci sono già due banche italiane e 8 europee che devono fare gli aumenti, e chi parte per primo ha vantaggi sul costo e sulla reperibilità del capitale». E ha ribadito i rischi di incertezze legate agli esiti degli asset qualità review e degli stress test da parte della Bce, e alle imminenti elezioni europee per il quadro politico.

Viola ha invece replicato alle critiche sulla gestione, per le perdite registrate sotto la sua guida: «Non sono soddisfatto dai risultati dei due anni. Ma nel 2012 quando arrivammo c’era un deficit di capitale pari a 2 miliardi, cui va aggiunto un miliardo e 900 milioni di Tremonti bond. Ma il problema più grave era quello della liquidità, nell’ottobre del 2011 è rimasta in piedi grazie all’intervento straordinario della Banca d’Italia, Mps in quel momento infatti non potevano chiudere in bonis le partite con le controparti bancarie». Anche la scarsa redditività della banca, ha spiegato, «non è un problema di ieri o oggi. I risultati in positivo era fatti con operazioni straordinarie o con operazioni che poi si sono rivelate dei falsi».

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